La classe dominante
La classe dominante nelle città-stato etrusche era costituita da un ceto aristocratico, originatosi in epoche remote dall'amalgamarsi di ricche famiglie di origine italica ed extra-italica, che deteneva le leve più importanti del potere, e da un ceto in crescita di mercanti e proprietari terrieri che aspirava ad entrare nell'oligarchia dominante. Dalle iscrizioni possiamo riconoscere i membri del ceto gentilizio poiché il loro nome personale andava sempre accompagnato al nome della stirpe. Il ceto gentilizio fu all'origine sia dell'espansione che della decadenza etrusca. Capace di grande propulsione in epoca arcaica e fino al V secolo a.C., non fu in grado di accogliere gli sviluppi tecnologici e sociali che contraddistinsero lo sviluppo storico delle civiltà antiche più evolute, condannando la propria cultura alla decadenza.

L'Architettura civile
La forma più tipica delle abitazioni del ceto dominante era caratterizzata da un ampio cortile centrale da cui si accedeva ai vari ambienti, un'altra tipologia di abitazione era composta da stanze adiacenti che davano su un vestibolo di ingresso. Gli edifici non si sviluppavano in altezza ed erano realizzati con uno zoccolo in blocchi squadrati di pietra o ciotoli, su di esso i muri erano costruiti con filari in pani d'argilla o mattoni crudi oppure da pietrisco tra intelaiature di legno e intonacatura d'argilla. La forma tipica del tetto era a spiovente ricoperto da tegole, ma erano presenti anche tetti a terrazza. L'esterno delle case era riccamente decorato da terrecotte policrome, all'interno le pareti delle stanze erano affrescate a motivi geometrici o con scene figurate.

Il banchetto
Il banchetto così spesso riprodotto negli affreschi tombali aveva per gli etruschi un duplice significato. Era cerimonia religiosa in quanto i parenti del defunto, tra le cerimonie funebri partecipavano ad un banchetto, al quale si pensava fosse presente anche lo spirito del deceduto. Inoltre, nella vita quotidiana, era un simbolo di ricchezza ed appartenenza ad una elite sociale. Infatti solo la classe aristocratica poteva permettersi di dare sfarzosi ricevimenti, in cui gli invitati, uomini e donne di alto rango, si sdraiavano a coppie su letti conviviali accuditi da numerosi servi, mentre musici e danzatori accompagnavano con suoni e danze lo svolgersi del convivio. I tavoli erano coperti da tovaglie ricamate, e apparecchiati con ricchi vasellami; i cibi erano costituiti da ricche portate di carni, in particolare cacciagione, ortaggi, frutta.

Musica e danza
Gli strumenti erano a percussione, a corda, e a fiato, in particolare quello più utilizzato era il flauto, in tutte le sue svariate fogge, anche se quello doppio era considerato lo strumento nazionale etrusco. Gli Etruschi apprezzavano molto la musica e solevano accompagnare con essa tutte le attività della giornata: il lavoro, il desinare, le cerimonie civili e religiose. Anche sul campo di battaglia i movimenti delle truppe erano coordinati facendo ricorso al suono delle trombe. La musica spesso accompagnava i movimenti ritmati di danzatori e danzatrici, il cui ballo non era solo uno spettacolo, ma poteva essere una cerimonia legata a riti propiziatori o a celebrazioni funebri. La musica accompagnava anche gli spettacoli scenici di più antica origine, che avevano carattere di mimo e rappresentati da attori-danzatori mascherati. Dal IV secolo a.C. si diffuse il teatro drammatico dialogato di ispirazione greca.

La moda
L'abbigliamento degli Etruschi richiama dal VI secolo a.C. quello dei Greci. Gli uomini nell'età arcaica andavano a torso nudo, in seguito si diffuse l'uso di una tunica corta o di un giubbetto, con un mantello colorato gettato sopra le spalle. Questo mantello, più ampio e ricamato, divenne poi la veste nazionale degli Etruschi: la tèbennos.
Le donne e gli anziani usavano una tunica lunga fino ai piedi, la tunica era solitamente di stoffa leggera pieghettata o decorata ai bordi; sopra di essa si portava un manto colorato più pesante. Tra l'abbigliamento femminile troviamo anche gonne, casacche, corpetti. Le calzature più comuni erano sandali, stivaletti alti e una caratteristica scarpa, di origine greco-orientale, con la parte anteriore a punta e rivolta verso l'alto. Il copricapo più diffuso era una calotta di lana, ma ne esistevano di molte fogge: a punta, conici, a cappuccio, a falde larghe; spesso identificavano l'appartenenza di coloro che li portavano ad una precisa classe sociale. A partire dal V secolo a.C. prevale l'uso di andare a capo scoperto. Pure dal V secolo a.C. gli uomini, che precedentemente usavano portare la barba, incominciarono a radersi il volto e tenere i capelli corti. Le donne ricorrevano alle più svariate acconciature: lunghi, pioventi, a coda, annodati o intrecciati dietro le spalle, in seguito lasciati cadere a boccoli sulle spalle, infine annodati a corona sul capo o raccolti in reticelle o cuffie. L'abbigliamento era completato da gioielli di squisita fattura, orecchini, collane, bracciali, fibule, pettorali, nella cui produzione gli Etruschi erano maestri.

Lo status della donna
Nel mondo etrusco la donna, a differenza della coeva civiltà greca, godeva di grandi libertà. Gli autori greci stigmatizzarono questo fatto propagando la maldicenza sui costumi morali delle donne etrusche. Infatti, mentre le donne greche vivevano sottomesse al marito e passavano la maggior parte della loro vita chiuse in casa, le donne etrusche avevano il diritto di partecipare a tutti gli eventi pubblici, ai banchetti sedevano assieme ai loro uomini sui letti conviviali, potevano vestire in modo spregiudicato, erano istruite. Testimonianza di questo ruolo di primo piano è l'usanza di individuare le persone affiancando spesso il matronimico al patronimico.
Nell'ultima fase della storia etrusca, quando l'influenza culturale greca si fece sentire in modo più deciso nelle arti e sui costumi, le donne etrusche persero parte della propria indipendenza.

La letteratura
La totale assenza di testi scritti profani etruschi e la frammentarietà dei testi religiosi che ci sono giunti non ci consente di penetrare al di là di un livello superficiale nella cultura etrusca.
La perdita della letteratura di tutto un popolo è un evento di grande tragicità. Già nei primi secoli dell'era Cristiana la lingua etrusca era conosciuta solo da pochi eruditi, con la fine della civiltà classica se ne perse anche la memoria, e così la possibilità di tramandarla fino a noi. Se dalle citazioni di qualche autore classico possiamo supporre con certezza l'esistenza di una letteratura storica etrusca, non possiamo altrettanto dire per una narrativa epica, che era probabilmente estranea alla mentalità di quel popolo. Possediamo invece una ampia documentazione, però raramente diretta, riguardante la letteratura religiosa etrusca, la quale aveva anche un valore etico-giuridico. I testi sacri erano suddivisi in libri che contenevano le regole della divinazione, il calendario religioso, le norme di comportamento nella vita quotidiana e negli eventi pubblici. Di grande curiosità e valore scientifico è stato il ritrovamento, sulle bende che fasciavano una mummia sepolta in Egitto, di un frammento di un testo religioso etrusco che contiene accenni a minuziosi rituali e a norme prescrittive di comportamento.

 

 
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